Mario e quella voglia di riscatto che fa rivivere un Rione
Nella rubrica “Uomini e donne che fanno la differenza”, vi raccontiamo la storia di Mario Cappella un uomo che ha imparato a valutare il successo nella meraviglia delle cose che cambiano
Mario prepara la cena, aspetta che rientri sua moglie e intanto ripensa alla sua giornata. Ascolta i suoi figli, i racconti delle soddisfazioni ottenute e delle giornate storte. Si siede a tavola con loro e non può fare a meno di chiederlo ancora una volta. Ma secondo voi quale è il criterio del successo? Cosa fa dire se la tua vita ne vale davvero la pena?
A 9 anni Mario ha le idee chiare: a lui piacciono i bambini e quando sarà grande farà l’educatore. Cresce smussando i lati spigolosi del suo carattere che non lo aiuteranno con i più piccoli. Allena la pazienza, la sicurezza in sè stesso e la calma. Poi termina il liceo, conosce padre Antonio Loffredo, decide di vivere in comunità e comprende che a Napoli non ci sono solo bambini ad avere bisogno.
Bussa alla porta una persona, poi due, poi tre. La tossicodipendenza diventa un problema presente, violento e aggressivo. Scoppia l’allarme sociale: i tossici danno fastidio a Napoli come in tutta Italia. Mario li accoglie, segue le crisi e al momento giusto li indirizza in comunità esistenti. Ma c’è un problema.
La percentuale di ricaduta una volta tornati dalle comunità è alta. Troppo alta. Mario capisce che serve qualcosa di più, qualcosa che riempia il vuoto, la sensazione di non valere nulla, la fragilità che corrode l’anima. Ci vuole delicatezza e fermezza. Apre un centro diurno per lavorare con i tossicodipendenti insieme alla comunità e alla famiglia d’origine. Impara che per ridare valore alla persona ci vuole tempo. Ma poi i risultati arrivano.
Vede nascere figli che non dovevano nascere e sbocciare autentiche relazioni d’amore. Vede persone imbruttite dalla sofferenza splendere di una nuova luce e accompagna i loro sogni a diventare un futuro reale. Mario sta nel bisogno, anche quando Don Antonio viene trasferito al Rione Sanità. Lui continua a coordinare il centro famiglia per minori, il doposcuola, le attività d’animazioni, le piccole cooperative.
Ma a Rione Sanità c’è lavoro da fare. Un restauro di cose e di spirito perché nelle viuzze del borgo dimenticato dall’evoluzione architettonica della città, si respira bellezza, unicità e dolore. Disoccupazione, degrado, violenza: questo è il Rione raccontato dalle cronache. Eppure Mario si accorge che c’è qualcosa di più. C’è arte. Gioventù. Voglia di riscatto. Un tessuto umano aperto e creativo schiacciato dal peso della povertà.
Con la cooperativa La Paranza il Rione Sanità diventa un polo culturale che abbina professionalità giovanili con la riscoperta del patrimonio artistico locale. Ci sono 34 giovani occupati, più di 12 mila mq di patrimonio recuperato e quasi 130 mila visite guidate alla Catacombe. Ma non basta. Non tutti i ragazzi sono laureati. Alcuni sono cresciuti a calci, sapendo di valere meno di uno straccio e hanno passati turbolenti. Mario si impegna. Lotta contro l’eccesso della burocrazia e contro chi rivendica il proprio potere al posto di facilitare benessere. Ci vuole tenacia per raggiungere l’obiettivo ma Officina dei talenti insieme a Fondazione San Gennaro nascono per curare con la bellezza e responsabilizzare con il dono. Senza saperlo le persone diventano comunità.
Negli occhi di 200 giovani occupati e di oltre 2 mila persone seguite, Mario vede il bene che prende forma, la vita che avanza, la meraviglia di scoprire di valere qualcosa. Pensa ai suoi migliori compagni di classe che a distanza di anni non hanno avuto il futuro che speravano e davanti ai suoi figli trova risposta alle sue domande perché “davanti all’estrema povertà puoi scegliere: o lasci emergere la bruttezza delle persone o ti impegni per far uscire la loro bellezza”.
Mario è un uomo che fa la differenza.
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