Dolcissime Evasioni: prodotti da forno speciali
La casa circondariale di Vicenza è uno di quei posti in cui puoi accedere in due modi: entrando la mattina ed uscendo qualche ora dopo oppure sentendo chiudere un cancello dietro alle spalle senza avere la certezza di quando si riaprirà. Qui, sovraffollati, tra una stretta cella e l’altra i detenuti attendono di avere certezza della propria condanna. E aspettano che la lancetta dell’orologio giri in un tempo che passa lento e inutile, in cui socializzare è complicato perché non ci si fida di nessuno e perché bisogna trovare una lingua comune, in cui le attività rieducative prescritte dalla Costituzione italiana sono rare e portate avanti solo dai volontari che bazzicano nella struttura perché ad oggi, per molti, il carcere è quel posto in cui si mettono le persone e si getta la chiave.
Per molti ma non per tutti. “La cooperativa M25 nasce nel 2013 quando abbiamo capito che era necessario dare una forma giuridica alle attività di volontariato che venivano portate avanti dalla Caritas Diocesana – racconta Michele Resina il presidente – I bisogni a cui rispondeva la solidarietà locale erano tanti per cui ci siamo trovati nella necessità di strutturare dei servizi per persone affette da malattia mentale, creare opportunità di inserimento lavorativo per chi è più vulnerabile e promuovere uno spazio rieducativo nel carcere il tema che stava particolarmente a cuore”. Con la cooperativa prendono quindi vita il Centro diurno Davide e Golia che accoglie psichiatrici, l’attività professionale di due bici park e i laboratori all’interno della casa circondariale.
“Abbiamo scelto la strada del lavoro – dice Michele – perché è lo strumento privilegiato per riattivare la persona, le sue capacità, la sua vita anche in carcere e nonostante le difficoltà perché la produzione spesso collima con la vita detentiva: oggi hai personale e domani magari no, però le consegne restano e devi trovare un modo per soddisfarle”. Vicenza ha una storia tutta sua che la lega al carcere. Una storia di tentativi, di buona volontà e di fallimenti perché impiantare delle attività produttive che diano seconde opportunità e occupino le giornate detentive è assai complesso. “La prima iniziativa che abbiamo testato è stata quella orticola – racconta Michele – C’erano tre serre in disuso, abbiamo presentato un progetto di produzione, lo abbiamo sottoposto all’attenzione del direttore e dopo aver ricevuto il suo benestare siamo partiti con l’attività orticola impiegando quattro detenuti, un maestro esperto d’agricoltura e l’attivazione di una rete solidale d’acquisto”. Una prima esperienza che ha dimostrato come sia ancora possibile proporre misure educative di cui i detenuti possono beneficiare e che in modo indiretto fa del bene anche al carcere. “Uscire qualche ora, prendersi delle responsabilità, lavorare la terra, hanno fatto sentire i detenuti ancora meritevoli, capaci e utili alla comunità. Li ha fatti sentire ancora uomini che con un piccolo stipendio possono vivere senza gravare sulla famiglia d’origine e che anzi, possono aiutare a loro volta la propria famiglia”.
Ma nel carcere non c’erano solo serre in disuso. C’era anche un forno, spento da troppi anni, e un numero crescente di detenuti in attesa di dare un senso alle proprie giornate. “Visti i risultati non potevamo fermarci. Abbiamo guardato il forno, stilato, vagliato, siglato carte su carte e poi siamo partiti con Dolcissime Evasioni, il nostro progetto di dolci da forno sostenibili”. Un progetto che profuma di buono e che non si ferma alla percezione olfattiva. “Il laboratorio è guidato dal sapere di un mastro fornaio che con il suo ricettario speciale e spirito solidale ci ha permesso di coinvolgere una quindicina di detenuti meritevoli – dichiara Michele – Avere qualche conoscenza nell’ambito aiuta a passare la selezione ma non è fondamentale. Qui vogliamo persone che hanno voglia di socializzare, di riscattarsi, di ridare dignità alle proprie giornate”. Così mani di colori e di età differenti si trovano fianco a fianco ad impastare, cucinare, sfornare e confezionare. Nel laboratorio si impara a stare insieme, si acquisiscono nuove competenze e si fa proprio un mestiere. “I detenuti sono responsabili, hanno rispetto del lavoro reciproco, sono attenti all’attività produttiva. Tutto questo ha convinto l’Amministrazione penitenziaria a prolungare la loro giornata lavorativa. Un segnale che fa cogliere l’importanza e il beneficio del laboratorio stesso” dichiara soddisfatto Michele.
Dai panettoni alle colombe, dalla biscotteria tradizionale a quella più variegata, dalle focacce ai salatini, il laboratorio crea prodotti buoni, di qualità e di valore. Si riescono a commercializzare perché sono artigianali e perché inaspettatamente si è creata da subito una rete intorno a Dolcisse Evasioni. “I profumi del forno inondano i corridoi della casa circondariale tanto che le prime grosse commesse le abbiamo ricevute dagli agenti penitenziari che dovevano organizzare feste o buffet – dice Michele – e questo mi fa capire che stiamo proseguendo sulla via giusta perché il carcere non sia più una realtà dimenticata di cui si occupino altri ma una comunità nella comunità”. E con questi prodotti Dolcissime Evasioni diventa un anello di congiunzione tra i detenuti e la comunità civile.